C’è tanta ipocrisia in giro
L’ondata di proteste di parte italiana per la scarsa solidarietà manifestata dall’Unione europea (anzi dai suoi membri, perché le istituzioni di Bruxelles sono state più aperte) sono giustificate: sempre più Italia e Grecia sono lasciate sole dinanzi alla emergenza migrazione. Ma c’è altro, ipocrisie incrociate. Eccone un breve e incompleto elenco.
L’ipocrisia (francese) di chi fa annunci roboanti di «una nuova solidarietà europea» in campagna elettorale, salvo poi dichiarare di non permettere l’attracco di navi cariche di migranti raccolti nel Canale di Sicilia o nel Mare di Libia battenti bandiera francese nei suoi porti.
L’ipocrisia (spagnola) di vietare l’attracco di navi cariche di migranti nei suoi porti, anche se le maggiori Ong impegnate nel Canale battono bandiera spagnola e attraccano in porti italiani come Cagliari più lontani dalle coste spagnole.
L’ipocrisia (maltese) di chiudere i porti agli sbarchi delle navi dell’Operazione Frontex e delle Ong, visto che secondo il diritto del mare e gli accordi di Dublino, gli sbarchi dovrebbero avvenire nel porto più vicino geograficamente al luogo del salvataggio.
L’ipocrisia (austriaca) di minacciare blindati al Brennero, quando si sa bene che per l’autostrada e la nazionale non passano migranti, che eventualmente scavalcano le montagne lontano dalle strade di maggior scorrimento.
L’ipocrisia (del gruppo di Visegrad) di non voler accettare le regole di ripartizione dei rifugiati in tutti i Paesi europei, sostenendo che ciò intaccherebbe l’integrità identitaria delle loro culture e che i loro bilanci non reggerebbero all’impatto. I numeri stanno lì a dire che di migranti abbiamo bisogno in tutt’Europa (Tito Boeri ha paventato un buco di 38 miliardi nei conti Inps del prossimo decennio in caso di blocco delle migrazioni).
L’ipocrisia (tedesca) di voler usare l’immigrazione clandestina per punire Grecia e anche Italia per la loro “leggerezza contabile” (salvo poi sorprendersi che Atene se la sta facendo con Pechino!).
L’ipocrisia (italiana) di chiedere misure di emergenza per l’immigrazione (soprattutto soldi) sapendo che l’Europa in queste settimane ha già versato nelle casse italiane svariati miliardi per la flessibilità di bilancio, per le banche venete e per Mps.
L’ipocrisia (sempre italiana ma anche greca) di lasciare le maglie large in tante strutture di accoglienza, sperando che i migranti da soli facciano perdere le loro tracce per raggiungere l’ambito Nord Europa.
L’ipocrisia (della Commissione europea) che a parole è solidale con l’Italia per l’emergenza migranti, ma che nei fatti riesce a scucire pochi milioni e reprimende per gli hotspot non completamente resi operativi.
L’ipocrisia (la peggiore, quella dei trafficanti di esseri umani) che continuano a sfruttare cinicamente il mercato ricchissimo della fuga dall’Africa, prospettando un’Europa simile ad un paradiso terrestre.
L’ipocrisia (di alcuni Paesi arabi) che non fanno nulla, o quasi, per impedire la partenza dei profughi dalle loro coste.
L’ipocrisia (condivisa) di voler distinguere i migranti provocati dalla guerra e quelli invece spinti da motivi economici. Sottile frontiera, molto difficile da tracciare, anche perché non tiene conto di una terza categoria di profughi, quella determinata dalla desertificazione del Sahara.
L’ipocrisia (anch’essa condivisa) di pensare che si possano stringere rapporti con i Paesi di partenza delle ondate migratorie (è stato fatto nel 2015 con la Turchia, per la pressione tedesca), in barba al rispetto doveroso dei diritti umani.
L’ipocrisia (sempre condivisa) di pensare che la Libia possa avere un governo unico ed efficace nel controllo degli accessi al suo deserto, quando noi europei (Sarkozy e Cameron in testa) abbiamo creato l’attuale anarchia, con gli scellerati bombardamenti del 2011 e continuando a sostenere i vari contendenti a seconda delle convenienze dei singoli Paesi dell’Unione.
E si potrebbe continuare. Con l’ipocrisia non c’è visione, con l’ipocrisia non c’è politica, al massimo schermaglie diplomatiche. L’ipocrisia è una strada senza uscita.