Bye bye Gran Bretagna
Ci sono voluti più di tre anni ma, alla fine, la Brexit è arrivata: dopo lo storico referendum del 23 giugno 2016 il Regno Unito lascia l’Unione europea (Ue) il 31 gennaio 2020, alla mezzanotte ora di Bruxelles, una data che resterà nella storia. Il 23 gennaio la Regina Elisabetta II ha infatti apposto la sua firma sulla legge che ratifica l’uscita del Paese dal blocco europeo, nel quale era entrato nel 1973.
Dopo un negoziato lungo e complesso, l’allora Primo Ministro britannico, Theresa May, aveva raggiunto un accordo con Bruxelles più volte respinto dal Parlamento britannico e dai membri del suo stesso partito conservatore. Il suo successore alla guida dei Tory e del governo, Boris Johnson, ha poi provato di tutto per giungere il suo obiettivo: lasciare l’Ue ad ogni costo. Questo ha significato un ulteriore aspro negoziato con l’Ue che ha portato ad alcune modifiche all’accordo Brexit, una sospensione della sessione del Parlamento tra le proteste dei deputati di ogni schieramento, elezioni anticipate stravinte dal leader conservatore, una serie di letterine indirizzate a Bruxelles per chiedere il rinvio della Brexit al 31 gennaio 2020.
Il 24 gennaio 2020 la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, hanno firmato l’accordo di recesso del Regno Unito dall’Ue approvato dall’assemblea di Westmnister, mentre il Parlamento europeo lo ha ratificato il 29 gennaio, in un clima surreale: deputati brexiters festanti e tanti altri deputati di diverse nazionalità in lacrime, altri con sciarpe al collo con la bandiera britannica e quella dell’Ue, altri ancora intonanti i versi di “Auld Lang Syne”, una malinconica canzone scozzese che ricorda la fine dell’anno, nella quale ci si domanda: «Le vecchie conoscenze dovrebbero essere dimenticate, e mai più ricordate?».
Charles Michel ha dichiarato che «le cose inevitabilmente cambieranno, ma la nostra amicizia rimane. Iniziamo un nuovo capitolo come partner e alleati». Per David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, «dirsi addio è troppo impegnativo e definitivo, meglio dirsi arrivederci», mentre Ursula von der Leyen ha salutato i britannici dicendo: «Vi ameremo sempre e non saremo mai lontani».
Il 31 gennaio segna solo una tappa del processo della Brexit, poiché si apre adesso un periodo di transizione fino al 31 dicembre 2020 durate il quale Londra e Bruxelles dovranno regolare in modo particolareggiato le proprie relazioni attraverso un negoziato che inizierà il 1° marzo. Fino ad allora le norme europee avranno piena vigenza nel Regno Unito. Indubbiamente, i legami tra le due sponde della Manica resteranno comunque stretti perché, nonostante le velleità dei brexiters, i rapporti tra Gran Bretagna e Paesi membri dell’Ue sono così intensi da essere considerati comunque quasi indissolubili.
Del resto, la Brexit lascia il popolo britannico frammentato e insicuro del proprio futuro, come ancora insicuri si sentono i milioni di cittadini europei residenti nel Regno Unito, nonostante le rassicurazioni, circa il loro futuro come residenti e lavoratori. La Scozia, che ha votato massicciamente per restare nell’Ue nel 2016, potrebbe chiedere un nuovo referendum per lasciare il Regno Unito (ed avviarne così la sua disgregazione), mentre la libertà di transito tra Irlanda e Irlanda del Nord resta un elemento fondamentale dell’accordo Brexit ma anche dell’accordo di pace del Venerdì Santo, firmato a Belfast il 10 aprile 1998, che mise fine a 30 anni di violenze tra cattolici e protestanti.