Buon viaggio Gigi
Ha unito palati di ogni fascia culturale, Gigi Proietti, spettatori di ogni regione, aspettativa, generazione e abitudine. Ha dato al basso la stessa dignità dell’alto, tenendolo alla larga dalla volgarità e dalla banalità grazie al suo genio zampillante. Ha trasformato entrambi in bellezza viva, pulsante, per la gente. Si è donato in parti uguali ai colti e ai meno istruiti.
Ha amato Shakespeare, Petrolini e Trilussa, la Roma delle fontane, quella antica e monumentale respirata da piccolissimo, quando girò il centro con la sua famiglia, allo stesso modo dei semplici, dei romani per la strada che parlavano e pensavano in maniera comica, colorita, attraente. C’entrano probabilmente i suoi anni giovanili vissuti nella periferia tosta e vivace del Tufello, povera e difficile, di gente spinta dalla guerra a occupare spazi ai margini della città.
Facce da tanti posti d’Italia, facilmente umili, fragili, tutte ad ingrossare Roma, a farla muovere e respirare. Volti e storie dalle quali Luigi può aver incamerato la sua tenera, vistosa e bellissima semplicità di fondo; quella romanità della porta accanto che è arrivata ovunque e che oggi all’improvviso fa commuovere tanti, gli intenerisce il cuore e gli fa bagnare gli occhi. Quell’essere parte straordinaria e brillante, eccellente di popolo che gli ha sempre evitato di recitare la parte dell’intellettuale snob, che lo ha sempre portato ad aver voglia di ironizzare bonariamente con gli altri sulla vita e sulla gente, a stemperare tutto con una battuta, con la simpatia e una soave, intelligente leggerezza.
Da Villa Borghese può aver appreso il gusto per la bellezza, ma dal contatto successivo con una Roma abituata a guadagnarsi la vita, dalla semplicità stessa della sua famiglia, può essere nato quel tappeto di tranquillità, di pudore, quasi, persino di una relativa, sottilissima, dolce inconsapevolezza sopra la quale ha volteggiato allegra e libera la sua arte, hanno danzato le sue doti di narratore, cantante, musicista, attore comico e di prosa, di commedia, di teatro, di cinema, radio e televisione. Di conduttore, doppiatore, ospite, affabulatore, intervistato, barzellettiere.
Magari lì, tra il popolo, dalla vita vera, ha preso forma il suo rapporto viscerale con la voglia di ridere e di far ridere, a cui si è aggiunta, già dagli anni della gioventù, e sempre più via via col tempo, quella profonda, anche se discreta, non mediaticamente sbandierata o urlata, curiosità esistenziale che lo ha reso grande conoscitore dei classici, palleggiatore della loro forza. Anche lì, però, Proietti li ha adoperati per aprire, per unire, per abbracciare, per la gente. Non per ingrossare se stesso e farsi forte, distante, superiore. Per quel pubblico che amava, di cui si sentiva parte, in qualche modo. Per questo la parola divulgatore fa rima con altre bellissime su di lui, magari accompagnata dall’aggettivo accogliente.
A questo servivano le sue barzellette: per creare sano piacere comune, come i suoi racconti magnetici che immediatamente costruivano il silenzio intorno. A lui gli occhi please: per godersi l’immediato incanto e prepararsi come si deve alla risata certa. Con Toto e la saùna, Pietro Ammicca o Mandrake, la canzone Nu je dà retta Roma cantata in La Tosca di Luigi Magni, capaci di convivere armoniosamente con il sogno realizzato del Globe Theatre, ovvero Shakespeare a Villa Borghese, in un teatro di legno, come quelli dell’età elisabettiana, o con i sonetti o le esperienze con Carmelo Bene.
Perché Proietti sapeva fare bene tante cose, praticamente tutto, e se ne accorsero presto i grandi: Fellini e De Filippo capofila di noi tutti. E lo faceva divertendosi, spaziando attraversando i campi con disinvoltura, mostrando amore per comunicare già con il suo volto disteso, rilassato, naturale.
Con la sua voce calda e colloquiale, più bella della nostra, ma con una lingua mai diversa da quella a cui eravamo abituati. L’uomo normale che non si è fatto schiacciare dall’enorme talento, che l’ha portato addosso nel modo più nobile, senza dimenticarsi mai di essere uomo. E questo suo dono e accortezza si respira nei personaggi seri, diciamo più realistici della sua carriera.
In quel maresciallo Rocca così umano, per esempio, così padre come tanti, ma anche delicato paradigma, perché di sentimenti e buon senso oltre l’affanno nel portare avanti tutto, tra doveri e guai. E poi il San Filippo Neri di Preferisco il paradiso, così votato per gli altri, per gli ultimi, così talentuoso nel darsi per loro. Proietti lo costruì ripescando i suoi ricordi di ragazzino all’oratorio, alla Parrocchia Santa Maria Assunta, proprio al Tufello. «Scuola di valori umani», la definì nelle interviste.
Gli stessi che non smise mai di adoperare e che già prima del 2 novembre scorso, quando ci ha detto ciao all’improvviso – nel giorno stesso in cui compiva ottanta anni –, ci avevano fatto innamorare di lui, ci avevano già dato la certezza di aver camminato nello stesso tempo di un grandissimo, anche se così normale.