Brexit: verso un nuovo referendum?
I negoziati sulla Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea (Ue), continuano ad essere terreno di scontro nel Paese britannico ed elemento di incertezza in Europa. Quel che è certo è che, in caso di un mancato accordo, ci saranno problemi immediati su entrambe le sponde della Manica. È noto che, dopo il referendum del 2016, molti britannici hanno messo in dubbio l’opportunità di uscire dall’Ue.
Un gruppo di parlamentari composto da conservatori, laburisti e nazionalisti scozzesi hanno trovato un’intesa, alla Camera dei Comuni, per chiedere al Primo Ministro Theresa May di indire un nuovo referendum sulla Brexit. A tal fine, presenteranno un emendamento che dichiarerà che l’eventuale accordo tra il Regno Unito e l’Ue dovrà essere sottoposto ad un voto popolare.
Parlamentari di vari schieramenti, dei volti noti e meno noti, ma soprattutto 700 mila cittadini hanno preso parte, a Londra, a una marcia per chiedere il voto popolare sulla Brexit, marcia sostenuta dal quotidiano The Independent. La parlamentare conservatrice Sarah Wollaston ha dichiarato a The Independent che le richieste del movimento “Voto del popolo” non possono essere più ignorate ed ha sollecitato il leader laburista Jeremy Corbyn a sostenere la campagna per un nuovo referendum sulla Brexit.
La marcia dello scorso 20 ottobre rientra nella campagna “Ultima parola” che The Independent ha lanciato il 25 luglio, con il fine di raccogliere delle firme per chiedere un nuovo referendum sulla Brexit, raccolta di firme che ha già raggiunto un milione di adesioni. Secondo il quotidiano britannico, il referendum del 2016 aveva dato la sovranità al popolo britannico nel chiedere l’uscita del paese dall’Ue e, dunque, il popolo avrebbe il diritto di avere l’ultima parola anche sull’accordo finale.
Ammesso che l’accordo ci sia. Infatti, nel corso dell’ultimo vertice europeo dedicato alla Brexit, i leader europei hanno manifestato il loro disappunto circa l’accordo finora raggiunto, tanto che il vertice straordinario del 17-18 novembre che avrebbe dovuto prendere atto dell’accordo è ancora in sospeso. In particolare, le criticità restano sulla questione dei confini tra Irlanda ed Irlanda del Nord, che dovrebbero restare aperti laddove il “backstop“, cioè l’istituzione di un regime temporaneo che comporterebbe quasi la libera circolazione di merci e persone attraverso il confine irlandese in attesa di una soluzione a lungo termine, vede il Regno Unito chiedere un limite temporale mentre l’Ue sostiene che dovrebbe protrarsi finché sia necessario.
Inoltre, un’altra criticità significativa permane sul fatto che l’Ue è disponibile a prolungare di un anno il periodo di transizione di applicazione del diritto dell’Ue (previsto finora da aprile 2019 a dicembre 2020), se si raggiunge un accordo entro la fatidica data del 30 marzo 2019, in modo da avere più tempo per raggiungere un compromesso stabile, mentre la Gran Bretagna non è sulla stessa linea.
Purtroppo, le fratture interne ai Tory, il partito conservatore, non fanno che palesare la debolezza di May, che tuttora esclude la possibilità di svolgere un secondo referendum, mentre crescono le probabilità che non venga raggiunto un accordo con l’Ue o che questo non venga approvato dal parlamento britannico. Tutto questo andrà a scapito di cittadini ed imprese dell’Ue in Gran Bretagna, ma anche dei tanti cittadini e delle tante imprese che vivono e lavorano negli altri Stati membri dell’Ue.