Borgo Mezzanone, muore un senegalese
Sono state riconosciute le generalità: Mohamed Ben Ali era un senegalese che lavorava nei campi e che per trovare un minimo di prospettiva e dignità vendeva anche braccialetti e bigiotteria in strada, come ricordano molti suoi amici. Il fuoco nella baraccopoli di Borgo Mezzanone, invece, ha spento la sua vita.
Sono fiamme divampate, ancora una volta, sull’indifferenza e sull’ingiustizia sociale; i vigili del fuoco sono riusciti a spegnere il rogo che ha raso al suolo la baracca, ma successivamente si sono accorti della vittima che abitava all’interno dell’abitazione, abusiva come tutto l’insediamento dove vivono, letteralmente accampati tanti migranti, braccianti sfruttati e mai adeguatamente tutelati.
Proprio le forze dell’ordine si sono accorte dell’incendio, avendo notato il fumo non molto distante dal Cara, il centro richiedenti asilo. La baracca, infatti, era più isolata rispetto alle altre dove vivono altri braccianti, molti di origine africana. L’incendio dovrebbe essere di natura dolosa, ma le cause sono ancora ignote. Si pensa alla fiamma di una candela all’interno della baracca, ma con la precarietà e le condizioni del ghetto il rischio e il pericolo sono sempre in agguato, all’ordine del giorno.
Ad accendere la luce su queste tragedie delle baraccopoli in Puglia è ancora Aboubakar Soumahoro, del sindacato Usb, che da tempo denuncia il sistema illecito dell’agricoltura pugliese e nazionale: «Questa mattina è morto un bracciante, ucciso dalle fiamme della miseria a Borgo Mezzanone. Il Governo, incurante e indifferente al nostro dolore, ha deciso di non affrontare i padroni della filiera agricola: i giganti del cibo, che sacrificano la nostra vita per profitto. Non possiamo accettare che si muoia così».
È la quarta vittima nel 2020 nelle baraccopoli di Borgo Mezzanone, ma inevitabilmente il pensiero corre alla sanatoria della ministra Bellanova sulla regolarizzazione dei braccianti clandestini, che ha rimbalzato sulle testate giornalistiche per le lacrime della ministra dell’Agricoltura, con una sanatoria approvata ad aprile.
Le condizioni al limite dei diritti umani e il sistema del capolarato non possono restare indifferenti alla politica come la Cgil Puglia rende noto: «È evidente come sono insostenibili quelle condizioni, ma le istituzioni tutte, dal Governo alla Regione fino agli enti locali, da troppo tempo promettono soluzioni alternative. Siamo a ridosso dell’ennesima grande stagione di raccolta e le soluzioni messe in campo è evidente come siano insufficienti per dare risposte a tutti i lavoratori». I rappresentanti del sindacato proseguono: «L’esistenza stessa del ghetto certifica il ruolo e il peso che ancora esercitano i caporali. È la ragione per cui abbiamo sempre denunciato come il fenomeno può essere vinto solo se aggredito complessivamente, intervento sull’intermediazione di manodopera, sull’accoglienza, sul servizio di trasporto».
Doloso o meno, infatti, questi braccianti vivono in un assoluto stato di neo-schiavitù e nonostante il Covid-19 la stagione della racconta sta iniziando.
In fondo, di tragedie simili ne parlava già nel 2016 Alessandro Leogrande, compianto giornalista e scrittore tarantino, nel libro “Uomini e caporali” in cui smascherava la filiera dell’illecito agricolo in Puglia, tra gli abusi dei caporali e l’indifferenza dello Stato e della società civile.