Becchetti, un nuovo partito di ispirazione cristiana?

Intervista al noto economista dell'Università di Roma Tor Vergata sulla nascita di una nuova formazione politica in Italia. Domande sulle proposte concrete, i mezzi di autofinanziamento, il rapporto con la Cei e molto altro ancora.
ANSA/FLAVIO LO SCALZO

La cosa è seria se si espone pure Stefano Zamagni, con tutta l’autorevolezza del celebre economista, nominato, dal marzo 2019, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali.

Il “professore” si muove ovviamente fuori da questo ruolo, come cittadino italiano che avverte la necessità di promuovere un manifesto che, come ha ribadito alla rivista Formiche, «auspica la nascita di una forza politica che si qualifichi di centro e si ispiri a principi e valori della civiltà cristiana». Zamagni si spinge anche a dire che «se verrà alla luce, un progetto del genere può aspirare al 25/26% dei voti».

Come al solito in questi casi, nei commenti, si tira in ballo la Dc, per dire che si tratta di altri tempi. Ad ogni modo non si può parlare di “partito cattolico” ma «semplicemente ispirato ai principi del personalismo cristiano, al pensiero di figure come Maritain, Ricoeur, Sturzo».

I dubbi sono tanti. Non si può tacere l’impressione di vedere comparire un nuovo partito che suscita grandi aspettative per poi dimostrarsi insignificante in termini di consensi reali.

L’altra firma pesante e riconoscibile, finora, del manifesto promosso dalle associazioni “Rete Bianca”, “Costruire assieme” e “Politica insieme” è quella di Leonardo Becchetti, economista con un vasto impegno civile nel mondo associativo, con particolare attenzione alla finanza etica. Il professore di Roma Tor Vergata ha detto che il manifesto è un copione in attesa di qualcuno che voglia interpretarlo.  Cerchiamo, perciò, di capire meglio lo stato della questione con questa intervista.

A vederlo dall’esterno il progetto sembra molto astratto, elitario e senza legame con soggetti sociali reali. Oppure già esiste un’area culturale diffusa capace di avviare questo processo costituente?
Nulla di astratto, anzi.  Se guardiamo alle quasi 500 firme, la cosa più bella è proprio che questo “copione” nasce da 30anni di duro lavoro sui territori a contatto con i cittadini, le loro rappresentanze e i problemi così diversi di quel caleidoscopio che è il nostro Paese dove ogni provincia è diversa dall’altra. Sono cose che si capiscono quando si è mediamente in tre/quattro diverse città ogni settimana, mentre sono più difficili da capire da chi sta prevalentemente a Roma o magari in un solo collegio elettorale. La novità è proprio la mancanza di un leader (una malattia senile del nostro sistema politico) e una presenza diffusa sui territori come si desume da aderenti e firme. È la società civile che ha deciso che in questo difficile momento del Paese il prepolitico non basta e bisogna riuscire a passare dalle buone pratiche e dai laboratori a una proposta che modifichi il rapporto con la politica, soprattutto quella nazionale, facendo leva sulle virtù di quella locale. Perché l’Italia ha, in questo momento, una fioritura di ottimi sindaci che hanno saputo creare un rapporto fiduciario con i propri cittadini al di là delle ideologie, dimostrando di essere sul pezzo con visione e capacità di risolvere problemi concreti.

Quali sono i rapporti con la Cei?
La Cei esprime una pluralità di visioni del Paese come è giusto e normale che sia. I vescovi italiani condividono visione e valori per quanto riguarda i principi di fede, ma hanno idee diverse quando si tratta di ragionare su quali strategie politiche possono favorire il cammino verso il bene comune. Con la Cei si vive invece una stagione molto bella di semina, iniziata con il percorso delle Settimane sociali di Cagliari, fatta di ricerca di migliori pratiche e di laboratori per la fioritura di iniziative sociali ed economiche per il Paese al di là della politica.

Cosa vi distingue dal progetto che sta portando avanti Demos, il partito fondato in gran parte da esponenti provenienti dalla comunità di sant’Egidio?
Personalmente ho in Demos alcune delle persone che stimo di più come politici e intervenendo all’ultima assemblea mi sono sentito a casa. Con la nostra iniziativa abbiamo voluto rompere il ghiaccio e creare le condizioni per un contenitore dell’impegno politico ispirato ai valori cristiani. Un collegamento con Demos non avrebbe da questo punto di vista nessuna controindicazione.

Ogni iniziativa politica ha bisogno di fondi per andare avanti. Come pensate di procedere?
Esistono oggi in politica modalità di organizzazione attraverso la rete che facilitano la raccolta di “tanto da pochi” e riducono allo stesso tempo di molto le necessità economiche. Da questo punto di vista l’esperienza dei Cinquestelle insegna. Il problema dell’Italia, in economia come in politica, non sono le risorse economiche che a livello aggregato abbondano, ma buoni progetti e buone idee in grado di attivarle.

E il consenso elettorale? I “professori” erano cooptati, un tempo, come “esterni” nella Dc o “indipendenti” nel Pci, perché erano ricchi di idee ma non di voti. Alla fine non si risolverà tutto in qualche seggio assicurato dai partiti più grandi?
Ritorno sul punto che non esiste per “Politica Insieme” una leadership di professori. Nel Paese c’è una bella primavera di pensatori ed intellettuali che sanno anche sporcarsi le mani sul campo e che mettono a disposizione le loro esperienze e conoscenze e credo che questo sia un elemento di forza. Ma la stragrande maggioranza dei firmatari è fatta da associazioni, professionisti, amministratori locali con presenza diffusa sui territori, con una domanda di attivazione latente che esisteva da tempo. Sarà questa la vera spinta propulsiva.

Dai tempi dell’Opera dei Congressi i cattolici sono divisi in campo politico. I popolari nacquero con una identità alternativa ai clerico-moderati e poi si divisero davanti al fascismo. La paura del comunismo fu il collante della Dc che si sciolse al crollo del Muro. Oggi una parte sostiene la Lega. Ruini è tornato in campo con l’intervista al Corriere della Sera per invitare, realisticamente, a cercare il rapporto con Salvini, mentre i cattolici democratici sono deboli e divisi tra loro. Come vi ponete in questa situazione?
Già Luigi Sturzo in un memorabile discorso ricordava che l’espressione “partito dei cattolici” era una contraddizione in termini perché “cattolico” vuol dire universale, il tutto, mentre partito è una parte che compete con altre per il consenso dei cittadini su una visione della politica. Non c’è nessun disegno egemonico da questo punto di vista perché è ovvio che la ricchezza dello Spirito spingerà sempre i cattolici ad impegnarsi in diverse direzioni. È, però, evidente che il ritorno a un progetto in grado di mettere tutta la persona al centro, tutta la vita al centro, avrà il suo fascino in un mondo bipolare dove i cattolici sono stati costretti a schierarsi per un pezzo o per l’altro (per l’accoglienza e la promozione sociale da una parte o per la difesa di vita, tradizioni e famiglia dall’altra). Nel partito popolare e nella Democrazia Cristiana non era così e forse era più naturale allora perché la persona è una.

Avete una bozza di programma concreto e comprensibile a tutti?
Il manifesto esprime una visione da cui scaturisce un programma. I principi ispiratori sono quelli dell’economia civile ovvero persone capaci di fare 1+1=3 (capaci di cooperazione, fiducia, reciprocità), attenzione alla responsabilità d’impresa e generatività come valore al centro. Oltre che politica economica a quattro mani dove mercato e istituzioni sono coadiuvate da cittadinanza attiva e imprese responsabili.

Cosa significa in pratica?
Quanto detto ha ricadute molto concrete. Nei servizi di welfare (dalla sanità alla lotta alla povertà, alle tutele dei più deboli, alla longevità attiva) vuol dire mettere al centro un approccio dove il beneficiario non è il terminale di un obolo, ma diventa protagonista in grado di tornare a dare e a sentirsi utile. 1+1=3 vuol dire anche lavorare per arricchire i percorsi di cooperazione nell’Unione Europea e a livello internazionale, combattendo la tendenza opposta dell’1 contro 1 minore di 2 che distrugge valore come dimostra la guerra dei dazi.

Vuol dire vivere la sfida della transizione ecologica come una grande opportunità per un Paese che per sua vocazione è “condannato alla qualità”, alla valorizzazione dei suoi tanti genius loci e che già oggi ha una leadership nel riciclo dei rifiuti e nell’economia circolare.

E poi ancora un impegno concreto per la famiglia e per affrontare la gravissima crisi demografica italiana. Tutte le forze politiche danno ragione al presidente del Forum Gigi De Palo quando chiede più risorse e l’assegno unico per il figlio, ma nessuno sinora ha concretamente messo questo punto al centro dell’agenda. E ancora lotta all’idolatria del massimo ribasso nelle aste pubbliche che produce degrado del lavoro e rischi per la salute dei cittadini.

 

 

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons