Basta bombe saudite per la guerra nello Yemen
Dopo Matteo Renzi, che menziona spesso la sua formazione scout nell’Agesci, l’Italia ha ora un primo ministro che proviene da una giovanile militanza extraparlamentare nelle file del Pdup, gruppo comunista eretico, rispetto al Pci, che pubblicava negli anni ’80 una rivista pacifista, ora rintracciabile solo in qualche emeroteca o su ebay.
Sul periodico Pace e Guerra (quest’ultima scritta al contrario), si occupava di esteri Paolo Gentiloni Silveri, imparentato con quel conte Gentiloni che agli inizi del 1900 si rese protagonista di un “patto elettorale” tra liberali conservatori e cattolici, determinanti nel voto ma costretti, a quel tempo, a restare, anche loro, fuori dal Parlamento.
Da Ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni è andato, invece, più volte davanti alle Camere per rispondere a quesiti e interrogazione di deputati e senatori come, lo scorso ottobre 2016, nel caso sollevato da Luca Frusone del M5S a proposito dell’invio di armi pesanti (bombe) dall’Italia verso l’Arabia Saudita. Si tratta di un fatto accertato e documentato a partire dalle segnalazioni, con tanto di foto scattate personalmente dal deputato Mauro Pili, eletto col centrodestra e ora nel gruppo misto a rappresentare il movimento sardo “Unidos”.
Come abbiamo riportato su cittanuova.it, sia l’allora ministro degli Esteri che la ministra della Difesa Roberta Pinotti, riconfermata adesso nella carica, hanno ribadito che l’invio del materiale bellico, prodotto da un’azienda con sede in Italia ma di proprietà tedesca, era in regola con le leggi vigenti perché
«l’Arabia Saudita non è oggetto di alcuna forma di embargo, sanzione o restrizione internazionale, di Onu o di Unione europea, nel settore delle vendite di materiale e di armamento».
Gentiloni è stato ancor più preciso e puntuale, forse ricordando i suoi trascorsi, facendo notare il valore “modesto” della transazione di armi con l’Arabia Saudita che vede l’Italia (con “soli” 700 milioni di euro) in coda ad una classifica che, esclusi gli Stati Uniti, vede sul podio,nel triennio 2012-2014 ,la Francia con oltre 5 miliardi di euro, il Regno Unito con 2,2 miliardi e la Germania con un miliardo e 900 milioni di euro.
Quanto agli Usa, basta tener presente quanto riporta padre Giovanni Sale sull’ultimo numero de La Civiltà Cattolica del dicembre 2016 a proposito della guerra dimenticata nello Yemen.
Proprio questo conflitto, che registra migliaia di vittime tra i civili con tanto di bombardamenti su scuole ospedali, è stato all’origine della “più grande vendita di armi nella storia degli Stati Uniti”: 60 miliardi di dollari spesi dall’Arabia Saudita.
Tra gli ultimi atti dell’amministrazione Obama, tuttavia, come riporta The New York Times, si registra la decisione di sospendere l’invio a Ryad di “bombe aeree” e di “munizionamento di precisione” del valore di centinaia di migliaia di dollari. Si tratta come fa notare Rete Disarmo, dei «sistemi militari che sono la principale causa di vittime dei bombardamenti, spesso indiscriminati, dell’aeronautica militare saudita».
Si può finalmente seguire la nuova linea statunitense? È quanto chiede Francesco Vignarca, portavoce di Rete Disarmo, al nuovo governo per dare un segnale di discontinuità rivedendo le autorizzazioni all’esportazioni di sistemi militari verso Ryad. E ciò sul presupposto che la legge italiana 185 del 1990 vieta le esportazioni di armamenti «non solo come ovvio e già automatico verso le nazioni sotto embargo internazionale ma anche ai Paesi in stato di conflitto armato e la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione della Repubblica italiana».
Un appello ribadito il 19 dicembre 2016, in una manifestazione pubblica davanti al rappresentante del nuovo ministro degli Esteri Angelino Alfano dal Centro internazionale studenti Giorgio La Pira con le parole del direttore Maurizio Certini avanzate quali «aderenti al gruppo “Economia disarmata” ed al Movimento dei Focolari in Italia ».
«Sappiamo bene – ha precisato Certini – che la realtà internazionale è molto complessa e che si pagano oggi gravi errori del passato, ma occorrono alternative alla ineluttabile tendenza alla guerra; una guerra infinita quando la produzione e il commercio delle armi rispondono alla stessa logica del mercato».
Un richiamo alla ragione in un mondo in fiamme, davanti al quale governanti ed eletti non possono restare indifferenti. Anche in considerazione delle elezioni ormai annunciate a breve. A che serve, infatti, lanciare appelli se poi queste istanze non diventano materia seria e decisiva di un programma?