Bando alle armi nucleari. Cosa fa l’Italia?
Lunedì 27 marzo, il giorno dopo il fine settimana di celebrazioni per i 60 anni del trattato istitutivo della Comunità economica europea, inizieranno al palazzo dell’Onu di New York i negoziati per arrivare ad un trattato internazionale inteso a vietare ed eliminare le armi nucleari.
Si tratta, tuttavia, di un percorso accidentato perché la risoluzione che istituisce la Conferenza delle Nazioni Unite per proibire ed eliminare le armi nucleari è stata adottata con il voto non unanime dall’Assemblea Generale dell’ONU del 23 dicembre 2016.
Ci sono i Paesi astenuti, tra i quali la Cina e le potenze nucleari emergenti come India e Pakistan. Hanno votato contro, invece, tra gli altri, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti oltre Australia, Israele, Giappone e Corea del Sud.
Solo per un errore tecnico l’Italia ha votato a favore, ma il ministero degli Esteri ha ribadito, con il sottosegretario Mario Giro, la contrarietà alla proposta in linea con buona parte delle nazioni aderenti alla Nato: «pur condividendo gli obiettivi di fondo riteniamo che la convocazione, nel 2017, di una Conferenza delle Nazioni Unite per negoziare uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi nucleari, costituisca un elemento fortemente divisivo che rischia di compromettere i nostri sforzi a favore del disarmo nucleare».
La notizia non ha avuto il risalto dovuto, ma merita un serio approfondimento. La complessità della questione non deve ostacolare un dialogo aperto ed esigente anche perché l’opzione nucleare preventiva non è più un tabù, come dimostrano le recenti dichiarazioni provenienti dalla Casa Bianca.
Con un comunicato congiunto Pax Christi e Caritas hanno invitato l’Italia a partecipare «in modo attivo e costruttivo agli appuntamenti all’Assemblea generale dell’Onu, a cominciare dal prossimo 27 marzo». Chiediamo a tal proposito il parere di Lisa Clark, che rappresenta la rete di associazioni e organismi che a livello internazionale ha sostenuto l’iniziativa dei Paesi, a cominciare da Austria e Sudafrica, promotori della Conferenza convocata dal 27 al 31 marzo e dal 15 giugno al 7 luglio.
Da dove nasce la risoluzione approvata dall’Onu a fine 2016?
La proposta contenuta nella risoluzione L41 nasce da un percorso di alcuni anni, lanciato da un gruppo di Stati che rappresentano tutti i continenti e i raggruppamenti. Battezzata l’“Iniziativa Umanitaria”, questo percorso parte dal lavoro di scienziati, medici e giuristi, appoggiati da Ong, premi Nobel e dal movimento internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa. Nel caso di una guerra in cui si usino bombe nucleari, anche solo un numero limitato in un unico scenario regionale, le conseguenze umanitarie sarebbero tali che nessun governo, nessuna organizzazione internazionale o sovranazionale sarebbe in grado di proteggere le popolazioni. E le conseguenze non si fermano davanti alle frontiere nazionali, né si limitano alla distruzione materiale causata dalle bombe: per esempio, nel caso di uno scambio di bombardamenti tra India e Pakistan, l’enorme quantitativo di detriti e macerie che sarebbero sollevati in aria (il fungo), e poi trasportati dai venti, porterebbero ad un oscuramento e riduzione dell’irradiazione solare che, in certe zone dell’Africa, farebbe fallire i raccolti per alcuni anni.
Cose tristemente note. Quale è la novità dell’Iniziativa umanitaria?
Abbiamo fisici, climatologi, medici che hanno deciso di porre i governanti di fronte alle loro responsabilità. Compito dei governi è proteggere le popolazioni. Ma poiché non è possibile proteggere le popolazioni dalle conseguenze di una guerra atomica, allora l’unica soluzione per far fronte ai propri obblighi sarà di impedire che ciò accada. E il modo più sicuro per impedire la detonazione di un’arma nucleare è metterle tutte al bando e garantire che vengano eliminate. In effetti, questo stesso ragionamento (o simile) fu quello alla base del lavoro diplomatico che, nel lontano 1962, fece partire il negoziato che portò al Tnp, entrato in vigore nel 1970 (l’Italia vi aderì solo nel 1975). Dopo l’enorme spavento della crisi dei missili a Cuba, tutti gli stati, e soprattutto gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, si impegnarono per trovare un accordo che salvasse l’umanità dall’apocalisse nucleare.
Quali sono i punti qualificanti del Tnp, Trattato di non proliferazione nucleare?
Il Tnp si basa su un accordo in tre pilastri: quegli Stati che già possiedono armi nucleari (5, gli stessi che erano anche membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu) si impegnano a non farli avere a nessun altro Stato e a lavorare per negoziare un trattato che preveda il (proprio) disarmo nucleare totale. Tutti gli altri Stati si impegnano a non dotarsi di armi nucleari; e insieme, tramite il lavoro dell’Agenzia per l’energia atomica, chi vorrà potrà produrre energia dall’atomo a condizione che si sottoponga al controllo di tutti i materiali fissili. Con il passare dei decenni, i governanti che avevano vissuto la seconda guerra mondiale e quelli che si erano avvicinati al precipizio con i missili a Cuba, furono sostituiti da uomini più giovani e i principi che stavano a fondamento del Tnp sono stati dimenticati.
Cosa ci dice questa ricostruzione storica?
Ci dice, a mio giudizio, che ciò che oggi il governo italiano adduce come sua strategia, è, in effetti, una mutazione genetica della strategia originaria del Tnp che aveva come prospettiva finale proprio il disarmo nucleare totale e generale. Credo si possa dire che coloro che oggi propongono la Conferenza per negoziare la messa al bando siano i veri eredi dello spirito del Tnp; mentre chi oggi si rifiuta di partecipare in realtà mira solo a mantenere una situazione di privilegio in uno stallo totale del percorso verso il disarmo.
Quale potrebbe essere il ruolo del nostro Paese?
Credo che l’Italia abbia nella sua cultura, nella sua storia, le capacità ideali di porsi come efficace leader nel campo delle trasformazioni in senso etico del diritto internazionale. Ricordo il ruolo efficace svolto dall’Italia nella campagna per la moratoria sulla pena di morte, come pure nei percorsi per arrivare all’entrata in vigore di importanti trattati internazionali, quali la messa al bando delle mine anti-persona e delle munizioni a grappolo. Per questo dobbiamo dire all’Italia, con forza, che sbaglia a non partecipare ai negoziati, specialmente perché – per la sua cultura e la sua storia – avrebbe così tanto da offrire.