Alitalia sull’orlo del fallimento

È stato rifiutato l'accordo per il salvataggio. Quale il futuro di un'azienda che sarebbe potuta essere strategica per il turismo italiano?

Il personale Alitalia ha rifiutato un salvataggio aziendale che richiedeva l’accordo alla riduzione del 8% del personale e dello stipendio di tutti, avendo assicurati generosi ammortizzazioni sociali; il rifiuto di una ipotesi di accordo che i principali sindacati avevano considerato una forma di “contratto di solidarietà”, fa pensare che quel personale consideri quasi come diritti acquisiti i privilegi ottenuti in un passato, oggi non più ripetibili.

Uno di questi è stato quello goduto dagli 8 mila dipendenti messi fuori ruolo in occasione della privatizzazione Alitalia, che per 7 anni – poi diventati 10 – hanno usufruito di una cassa integrazione pari all’80% dell’ultimo stipendio, qualsiasi esso fosse, anche 20 mila euro al mese.

Il costo di questo privilegio è stato riversato sui cittadini grazie al Fondo Trasporto Aereo che rastrella 220 milioni di euro all’anno con una addizionale sui biglietti aerei; una penale che evidentemente è stata considerata necessaria per affidare ai privati una azienda che quando pubblica era stata resa decotta perché gestita da manager scelti dalla politica.

Ma adesso Alitalia è una azienda privata: se non sa far quadrare i bilanci pur gestita da manager scelti dai suoi azionisti privati, deve, come tutte le altre aziende come previsto dal codice civile, se si trova con perdite superiori a due terzi del capitale che i soci non ripianano, portare i libri in tribunale; i suoi dipendenti devono sapere che se quel ripianamento richiede il loro contributo, da esso e non dalla comunità dipende il mantenimento del loro posto di lavoro.

Questo senza dimenticare chi può perdere davvero il lavoro senza avere privilegi, come l’indotto e chi non troverebbe un impiego in altre aziende del settore: si smetta però di proclamare la necessità di un aiuto speciale perché si tratta di una azienda strategica.

L’Alitalia strategica non lo è più, strategia significherebbe ad esempio saper attirare in Italia come primo punto di approdo in Europa il traffico turistico aereo, ma per farlo servirebbe una flotta importante, tutta diversa da quella di cui Alitalia dispone pur con il socio Ethiad al 49%, che ha già una sua strategia internazionale, di cui l’Italia è solo un tassello.

Per venire in Italia dai continenti oggi spesso si passa da Parigi, Londra o Francoforte: quando gli aerei atterrano direttamente a Fiumicino o Malpensa è per ragioni economiche, legate alle strutture logistiche ivi disponibili: i primi approdi nei nostri aeroporti aumenteranno quando ad attendere i viaggiatori presso gli aeroporti  vi saranno treni veloci,  in grado di raggiungere le città d’arte e località turistiche con tempi di percorrenza confrontabili con quelli che oggi servono per raggiungere  il centro città di Roma e Milano.

Se il governo ha risorse da investire per il turismo italiano, è meglio che le dedichi ad accelerare la realizzazione di queste strutture, piuttosto che nazionalizzare nuovamente un baraccone in perdita.

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