Tra Israele e mondo arabo i nuovi “Accordi di Abramo”?
La situazione sanitaria in Israele è andata precipitando nell’ultimo mese, tanto da mettere in ombra i successi diplomatici (ovviamente definiti storici ad ogni piè sospinto) degli “Accordi di Abramo” siglati a Washington il 15 settembre. Tra l’8 e il 21 settembre sono stati rilevati in Israele quasi 55 mila nuovi contagi di Covid-19, e nella sola giornata del 15 settembre sono stati 5.583. Questo porta il numero dei contagiati dall’inizio della pandemia vicino ai 200 mila. E stiamo parlando di un Paese con 9 milioni di abitanti.
Il secondo lockdown, per evitare il peggio, è quindi scattato inevitabile lo stesso 15 settembre alla vigilia della grande festa ebraica di Rosh haShana, che iniziava quest’anno il 18 settembre, con disappunto di molti e proteste antigovernative, soprattutto anti-Netanyahu.
Ma, si sa, l’alta politica non può certo fermarsi per una banale pandemia planetaria. Tanto più che gli “Accordi di Abramo”, firmati a Washington all’ombra della Casa Bianca, potevano distrarre almeno un poco l’attenzione dell’opinione pubblica statunitense dal raggiugimento in Usa della cifra spaventosa di 200 mila morti dall’inizio del Covid-19 (che comunque secondo Trump è tutta colpa dei cinesi, ma questo è un altro discorso).
La firma di quelli che Donald Trump, il grande sponsor di Washington, ha definito “Accordi di Abramo” è avvenuta alla Casa Bianca proprio il 15 settembre. Più che di “accordi”, al di là della solita indisponente retorica a cui Trump ci ha ormai abituato, verrebbe da pensare all’annuncio di una nuova Pax americana, espressione derivata, com’è noto, dall’antica formula della Pax romana fondata sul potere del più forte. Ed è una pace che ha ben poco a che fare con la risoluzione dei conflitti armati e la promozione del bene comune, ma si tratta piuttosto di un’alleanza contro un nemico comune, che nel caso specifico si chiama Iran, e per affermare gli interessi di alcuni contro quelli di tutti gli altri. Tra gli interessi dello sponsor statunitense della faccenda, uno immediato è la vendita di uno primo stock di F-35, aerei da guerra supertecnologici, agli Emirati; un altro, solo per fare un esempio, è il petrolio, ma non solo; ed un altro ancora, last not least, è un tantino di pubblicità pre-elettorale in vista delle elezioni statunitensi di novembre.
In pratica, Israele ed Emirati Arabi hanno firmato un trattato di pace (anche se non c’è stata alcuna guerra fra i due Paesi) con valore giuridico internazionale, mentre fra Israele e Bahrein è stata siglata una dichiarazione di pace, allo scopo di normalizzare i rapporti sia diplomatici che commerciali. La finalità politica è comunque unica, e qui sta lo scoop: rapporti inediti fra Stati arabi del Golfo e Israele. Tranne l’Egitto (1978) e la Giordania (1994), finora nessun altro Paese arabo aveva riconosciuto ufficialmente lo Stato israeliano. È anche evidente che Trump punta molto ad allargare gli Accordi di Abramo ai Sauditi, soprattutto in funzione di incrementare e governare “lo schieramento” anti-Iran. Ma dall’orecchio di un riconoscimento ufficiale dello Stato ebraico pare che il colosso petrolifero arabo non ci senta, nonostante l’alleanza d’acciaio che lega Usa e Arabia saudita, che sul versante “anti-Iran” sarebbe invece più che d’accordo.
Su queste pacifiche e disinteressate premesse, due deputati, uno norvegese e uno svedese, hanno proposto di assegnare a Trump il prossimo Nobel per la pace 2021. Siamo in molti a sperare che sull’idea venga steso quanto prima un pietoso velo. Pena la definitiva caduta nel ridicolo del prestigioso riconoscimento assegnato in passato dall’Accademia di Stoccolma a Martin Luther King, Madre Teresa di Calcutta, Nelson Mandela e Malala Yousafzai (ahimè anche a Henry Kissinger), per non citare che alcuni dei premiati più conosciuti e stimati.
E i palestinesi? Secondo gli emiratini ci guadagnano, perché la Cisgiordania non verrà annessa a Israele, per ora. È una magra consolazione, che sa vagamente di beffa. E comunque, al di là delle solite indignate proteste, la sola cosa che purtroppo accomuna le numerose fazioni palestinesi, ad Abu Mazen resta secondo Trump una sola chance: quella di aderire “spontaneamente” al “Piano di pace del secolo” (la versione per palestinesi degli Accordi di Abramo), spiegando alla sua gente che hanno tutto da guadagnare (in dollari sonanti) se la smettono una buona volta di bruciare bandiere americane e di lanciare missili e palloncini incendiari verso le postazioni israeliane intorno a Gaza. Un’ultima domanda: c’era proprio bisogno di scomodare Abramo per definire questi accordi?