“Volevamo accoglierli da vivi e non da morti”

I lampedusani si stringono attorno alle vittime e ai sopravvissuti. “Preghiamo per loro” è la frase che risuona in tutta l’isola. Intanto due pescatori hanno ritrovato il barcone a cala Galera con almeno altri cento cadaveri
Soccorritori aiutano i naufraghi a Lampedusa

Hanno seguito la scia del gasolio, andando contromano verso cala Galera. Ed ecco che il macabro relitto si è presentato davanti alla poppa del motopesca Graziella in tutto il suo orrore: dentro il barcone ancora decine di cadaveri. La tragedia non lambisce queste coste, continua ad impregnarle di sangue e di sofferenza. Queste istantanee di morte e di disperata sopravvivenza i pescatori ce le hanno impresse nel cuore e negli occhi. Domenico ieri non riusciva a dimenticare quelle braccia alzate che venivano coperte dalle onde e non riuscivano neppure a raggiungere la sua barca. Braccia alzate che sprofondavano negli abissi, le une accanto alle altre.

Intanto sul molo ci si ripete instancabilmente: “Volevamo accogliervi da vivi e non da morti”. Al dolore che come un macigno schiaccia gli animi degli isolani si aggiunge la rabbia per le interviste e le passerelle dei politici. Mentre un elicottero sorvola l'area e altri pescherecci si sono mobilitati per il recupero dei corpi, i riflettori sono tutti puntati sulla scena della tragedia con attori che interpretano le parti istituzionali e non, ma qui tutti conoscono a memoria il copione. Chiuso il tendone, spente le luci, quelle barche continueranno ad arrivare e a sbarcare disperazione senza futuro e senza risposte. Il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, non ha lasciato mai l’ingresso del porto se non a sera tarda. Guarda quei sacchi di morte e intanto organizza il rifugio per la notte: il capannone azzurro vicino all’aeroporto, deposito degli attrezzi, dove ora giacciono corpi senza nome in attesa di bare e carri funebri che arriveranno da altre città siciliane.

Oggi Lampedusa è ferma, immobile, impietrita dal dolore. Chiuse le scuole, le banche, anche qualche esercizio commerciale: ci si prepara alla fiaccolata delle 18 e alla messa delle 19 che dovrebbe tenersi davanti al piazzale della chiesa, lo stesso che aveva visto, qualche settimana fa, papa Bergoglio salutare con calore i tanti lampedusani nativi e immigrati. Sull'isola è arrivato anche il vescovo di agrigento, mons. Francesco Montenegro.

“Preghiamo, preghiamo per loro” è la litania che si sente ripetere da tutti, credenti e non, nella consapevolezza dell’impotenza umana e della potenza di Dio, che solo può impedire queste tragedie.

“Un'isola piena di dolore che porta il peso dell'indifferenza del mondo” scrive qualcuno con tantissimi like accanto. “Tristezza e allo stesso tempo tanta rabbia nei confronti delle istituzioni internazionali che continuano a essere complici di queste tragedie che vedono la morte in mare di questi nostri fratelli sfortunati” è uno degli sfoghi ricorrenti.

“E’ il cuore dell'umanità che naufraga. Dio vi perdoni e assolva il vostro delitto” è lo stato sui Social network di chi pensa agli scafisti e alle loro responsabilità. I politici sono citati a più riprese: “Lampedusa ancora una volta, piange queste morti evitabili. Nessun politico venga ora a rammaricarsi… È vergognoso e inaccettabile!”; “Non bastano parole di solidarietà x fermare tutto questo, occorrono dei provvedimenti affinché degli innocenti non perdano la vita”. Una domanda crudele sovrasta tutte le conversazioni: “la continua tragedia del Mediterraneo è così diversa da Auschwitz?” è il post tragico di ieri notte. Mentre qualcuno sceglie di tornare sull’isola proprio per essere vicino a “sindaco e paesani”. Infine c’è la riconoscenza per chi in queste ore frenetiche non si è risparmiato: “onore ai miei colleghi che stanno lavorando, sacrificandosi senza sosta per strappare dal mare un'ultima speranza di vita”.
 

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